L’Empire de l’Or rouge
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Dall’omonimo libro di Jean-Baptiste Malet, un’inchesta che ripercorre fino ai nostri giorni la storia del pomodoro e della sua industrializzazione, modello produttivo capace già alla fine dell’800 di anticipare l’idea di un’economia globalizzata. Oggi il pomodoro è un prodotto internazionale che viaggia da un continente all’altro, stipato in grandi barili prima di essere lavorato nei vari stabilimenti da cui uscirà in barattoli che ne esaltano la freschezza. Ma dove, come e da chi sono coltivati e raccolti questi pomodori? Dall’Italia, alla Cina e all’Africa, nel seguire attentamente tutti i passaggi di una tra le più reddittizie industrie alimentari, emergono i retroscena di un capitalismo brutale e trionfante in cui sfruttamento, criminalità organizzata e minaccia ambientale sono strettamente legati.
«Nel 2011 stavo portando avanti un’inchiesta politica nel nord della Provenza, quando casualmente ho scoperto che Le Cabanon, uno stabilimento storico di produzione industriale di pomodoro francese era diventato cinese. La cosa mi ha subito incuriosito perché si trattava del più grande stabilimento francese. Così ho bussato alla porta e ho chiesto di poter fare delle domande, ma mi è stato risposto che non parlavano con i giornalisti. Mentre ero lì ho notato dei grandi fusti blu con la scritta “made in China”, che ho rivisto poi anche in Italia, e mi sono chiesto “come mai il concentrato di pomodoro arriva dalla Cina, in posti dove i pomodori sono sempre stati coltivati? Così ho viaggiato tra la Cina, gli Stati Uniti, l’Africa e l’Italia e sono riuscito a tracciare un quadro completo di questo mercato. Non è stato semplice, ci ho messo due anni.
Trovo che non mangiare pomodoro europeo in Europa sia una follia. Si può essere sicuri della provenienza di un prodotto solo se l’etichetta riporta esplicitamente l’informazione e purtroppo questo spesso non accade perché la legge lo prevede solo per alcuni prodotti. Chi afferma che il libero scambio sia sempre positivo fa dell’ideologia. La realtà, invece, è che questo sistema porta i contadini africani a morire su dei barconi. Il prodotto cinese costa meno perché i lavoratori cinesi sono sottopagati e perché lì le norme ambientali sono meno restrittive. Il prodotto, quindi, è meno controllato e di qualità inferiore, ma passa le nostre frontiere in virtù del libero scambio e della globalizzazione. Si tratta, a tutti gli effetti, di una competizione impari e dannosa e io mi chiedo che senso abbia tutto ciò e per quanto potrà durare. Il capitalismo senza regole è follia pura».
(Jean-Baptiste Malet)
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