Die grüne Lüge
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Quanto influiscono le nostre scelte d’acquisto sullo sviluppo dell’economia sostenibile? I “prodotti verdi” industriali sono da considerarsi tali o non costituiscono piuttosto una mera strategia di vendita? Da questi dubbi prende il via l’indagine di Werner Boote e dell’ecologista Kathrin Hartmann, che sulle orme della comunicazione “greenwashing” di certe imprese, si inoltra in alcune delle aree più soggette alla politica ingannevole delle aziende. Dal disastro causato dalla BP nella piattaforma petrolifera Deepwater Horizon di Grand Isle agli incendi delle foreste pluviali indonesiane scatenati dai produttori di olio di palma, fino agli effetti dell’allevamento del bestiame sulle popolazioni indigene in Brasile, un dibattito intenso e rivelatore a cui prendono parte anche le eminenti voci di Noam Chomsky e Raj Patel.
Mi chiedono: cos’è il greenwashing e perché funziona così bene nel manipolare le nostre scelte? Negli anni Settanta la gente ha cominciato a capire che l’industria stava danneggiando la natura e le risorse del Pianeta. Le questioni ambientali sono diventate un argomento di interesse per l’opinione pubblica e il mondo dell’industria si è trovato a dover reagire in qualche modo. Ha iniziato dunque a raccontare “bugie verdi”, a presentarsi come ecologico, equo, sostenibile. In quarant’anni, queste bugie sono diventate sempre più sofisticate, vengono investiti molti soldi nel marketing, in ogni grande società ci sono interi reparti dedicati al greenwashing.
Alla fine esiste solo un’unica grande bugia: l’inganno con cui l’industria scarica la responsabilità sull’individuo, facendoci credere che comprando un prodotto invece di un altro possiamo salvare o distruggere il pianeta. Ma, come dice l’economista Raj Patel intervistato nel film, non si può pretendere che l’individuo leggendo un’etichetta al supermercato riesca a capire quanto un prodotto danneggi gli oceani, la foresta pluviale, quanto impatti sul clima e via dicendo. È impossibile. Certo che abbiamo la responsabilità di comprare prodotti che non danneggino l’ambiente, ma abbiamo anche il diritto di pretendere che l’industria non produca più prodotti dannosi, a prescindere da qualsiasi certificazione di sostenibilità. L’unico modo per cambiare veramente le cose è andare verso un sistema economico democratico, che ponga al centro i diritti umani e i diritti della natura e non li subordini al profitto. Abbiamo bisogno di una rivoluzione, questo è certo, ma può essere una rivoluzione pacifica, come quella prospettata ad esempio nel film francese Demain. La chiave di tutto è non pensare di essere soli.
È importante impegnarsi attivamente, unirci alle organizzazioni, cercare altre persone consapevoli che vogliano cambiare il sistema economico, così da formare una massa critica. Dobbiamo parlare di questi temi anche attraverso i documentari, che sono cibo per la mente e contribuiscono a creare consapevolezza.
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