Anthropocene: The Human Epoch
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Parte conclusiva, dopo Manufactured Landscapes e Watermark, di una trilogia dedicata all’impatto delle attività umane sulla Terra. Dalle pareti di cemento in Cina, che ricoprono il 60% della costa continentale, alle più grandi macchine scavatrici mai costruite in Germania, dalle psichedeliche miniere di potassio negli Urali alla devastata Barriera Corallina australiana fino ai surreali stagni di evaporazione del litio nel deserto di Atacama, un lungo viaggio per svelare paesaggi mutati in modo irrevocabile.
Sequenze di spaventosa bellezza si susseguono drammaticamente, testimoniando una fase critica dell’attuale processo geologico: l’Olocene ha ceduto il passo all’Antropocene, l’epoca caratterizzata dal dominio dell’uomo sulla natura, tale da diventare la causa principale delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche del Pianeta.
Nel primo documentario della trilogia, Manufactured Landscapes, ci siamo fatti guidare dal saggio fotografico di Burtynsky sulla rivoluzione industriale in Cina. Il modo straordinario, assolutamente non didattico, in cui venivano ritratti i luoghi è stato il nostro punto di partenza. Abbiamo cercato di tradurre in modo intelligente il passaggio dalla fotografia al cinema in una relazione profonda e intima con il materiale. In Watermark abbiamo lavorato sull’idea dell’interazione umana con l’acqua, esplorando ogni aspetto dell’uso che ne facciamo: sopravvivenza e bisogni quotidiani, utilizzo industriale, ricreativo, religioso. Abbiamo accostato i diversi contesti, per esempio il bagno sacro nel Gange durante il pellegrinaggio Kumbh Mela e le ragazze che fanno cartwheeling sulle spiagge californiane, e raccolto testimonianze, come quella di Inocencia Gonzales in Messico, la cui comunità di pescatori è stata decimata a causa del delta fluviale trasformatosi in un alveo secco.
Il documentario Antropocene: The Human Epoch fa un passo indietro rispetto ai precedenti nella sua premessa, che si ispira direttamente alla ricerca dell’Anthropocene Working Group: gli umani cambiano la Terra e i suoi sistemi più dei processi naturali. Il film richiedeva una prospettiva globale per mostrare che l’uomo, attivo solo da circa 10.000 anni, oggi domina completamente un pianeta nato intorno a 4,5 miliardi di anni fa. Come restituire sullo schermo questa supremazia, in un equilibrio tra le grandi prospettive e il dettaglio? Siamo ricorsi alle tecniche più innovative che il nostro budget poteva permetterci, ma anche in questo caso era importante raccontare una dimensione più profonda, riservata. È qui che l’etica dell’impegno nella nostra pratica cinematografica è fondamentale. Quando vai in giro per il mondo per il tuo progetto, è fondamentale provare a farlo con umiltà e un’apertura a ciò che il contesto vuole dirti su se stesso, in particolare sui suoi angoli trascurati o persino ignorati.
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