Rebuilding Paradise

Penso che permettendoci un contatto così ravvicinato e personale, la comunità di Paradise ci abbia davvero fatto un dono. Dal punto di vista narrativo è stata un’opportunità non solo per cogliere la devastazione e la tragedia di un evento come questo, ma anche per andare più a fondo e sentire che si trattava di una chiamata all’azione unica. Abbiamo sempre avuto disastri ambientali, ma ora ne stiamo avendo di più. Qualunque sia la causa, questa sembra essere la nuova normalità. E noi, come società, dobbiamo capire come affrontarla. Credo che uno dei motivi per cui abbiamo ottenuto il supporto degli abitanti di Paradise sia la loro riconoscenza verso qualcuno che si interessava davvero alla loro storia anche dopo i primi dieci giorni, cercando di capire cosa realmente stavano attraversando, oltre la crisi iniziale. I media e l’opinione pubblica tendono sempre a spostare il proprio interesse verso la crisi successiva, dicevano convinti e rassegnati… Abbiamo raccolto centinaia di ore di riprese, inclusi i filmati di telefoni cellulari, filmati d’archivio e contributi cruciali di registi locali, pronti a collaborare con noi mettendo a disposizione progetti propri. Ci siamo sostenuti a vicenda e posso affermare con certezza che mai nei precedenti documentari avevamo raccolto una simile quantità di materiale da visionare.

Questa esperienza ci ha fatto capire il vero significato dell’idea di “andare avanti”. Non è semplice, come suggerirebbe l’espressione stessa. Ma alla fine è ciò che rimane da fare. Durante il montaggio abbiamo letteralmente seguito la linea emotiva attraversata dai sopravvissuti a questo tipo di devastazione. Abbiamo strutturato il film osservando le loro linee di dolore. Ci troviamo ancora nella fase cosiddetta di stress post traumatico, ma io sono pieno di speranza per loro. Provo tanto rispetto e gratitudine per questa comunità che ci ha permesso di stargli accanto in una sfida così dura.