I Got Plenty of Mutton

Diretto da
Titolo tradotto
Montoni e pecorelle
Genere
Animazione
Paese
Stati Uniti d'America
Anno
1944
Durata
8'
Casa di produzione
Warner Bros. Cartoons
Lingue
Inglese
Approfondimento

A proposito di I Got Plenty of Mutton

Il lupo è uno dei personaggi più presenti nelle fiabe, e da queste – spesso utilizzate come base per i primi cartoon – entra presto nel bestiario del cinema di animazione. Fin dall'inizio si impone con uno dei più celebri cattivi del mondo dei cartoni animati, il Big Bad Wolf (Grande Lupo Cattivo) di The Three Little Pigs (I Tre Piccoli Porcellini), il maggior successo della serie Silly Symphonies, che nel 1933 si aggiudica l'Oscar. Questo primo lupo cattivo ha già le stesse caratteristiche dei lupi precedenti (delle fiabe) e di quelli che verranno (dei cartoni): è pura espressione del desiderio di mangiarsi i porcellini che regolarmente gli sfuggiranno. Il cartoon ebbe un successo tale da essere copiato immediatamente ovunque e a dare il via a molte variazioni disneyane.

Un Grande Lupo Cattivo compare anche in Little Boy Blue (The Big Bad Wolf) di Ub Iwerks, che nel 1930 aveva lasciato gli studi di Disney dopo aver dato vita alla fortunata serie delle Silly Symphonies. E soprattutto dopo essere stato il primo disegnatore di Topolino.

The Trial of Mister Wolf di F. Freleng vede ancora per protagonisti il Grande Lupo Cattivo e i Porcellini. Dopo aver a lungo insidiato porcellini indistruttibili – e talvolta antipatici nell'inattaccabile sicurezza della casa in calce e mattoni costruita da Jimmy, il Practical Pig che ben personifica l'ideale dell'americano virtuoso e laborioso – il lupo dei cartoni prova a passare alle pecore, sue prede abituali nella realtà. Da buone pecore le pecore non sono reattive e pascolano beate e indifferenziate ad occhi chiusi, l'una uguale alle altre, estranee alla pervicacia delle macchinazioni tecnico-utilitaristiche dei borghesucci porcellini. Le cose non cambiano però molto per il lupo: continua a rimanere a bocca asciutta, ma le punizioni (queste si costanti e vero leitmotiv della saga epica dal Big Bad Wolf a Wile E. Coyote) gli vengono ora inflitte dal cane pastore.

The Sheepish Wolf di F. Freleng (creatore della Pantera rosa e coautore di Bugs Bunny e di Daffy Duck) è il primo cartoon che vede riuniti gli elementi di un nuovo trio lupo-pecora-cane. Gli stessi personaggi si ripresentano in I Got Plenty of Mutton, capolavoro di F. Tashlin del periodo bellico, dove il lupo affamatissimo per i razionamenti alimentari, se la vede con il temibile Killer Diller Ram, il cane pastore che difende il gregge. Questo cane è molto Ecomile a Sam Sheepdog, che si prenderà scrupolosamente cura di Ralph Wolf, praticamente identico a Wile E. Coyote, altra creatura di Chuck Kent Jones. Sam Sheepdog è sempre immobile, con gli occhi coperti dal ciuffo, ma si trova sempre nel punto esatto in cui il lupo porterà il suo attacco raffinato quanto vano. Il “candido guardiano” è una perfetta personificazione del Super-Io, che cerca di bloccare tutti i tentativi di soddisfacimento/appagamento della libido. Le pecore, al di qua della soglia di percezione di un'identità individuale, sono sempre ignare e indifferenti al conflitto tra le violente pulsioni del lupo (dell'Es) e le implacabili istanze coercitive del cane pastore. Le ostilità tra i due però sono strettamente limitate all'orario di lavoro: ogni mattina timbrano il cartellino e fanno colazione insieme, salutandosi cordialmente «Buongiorno Sam», «Buongiorno Ralph» prima di tuffarsi nelle ostilità quotidiane, perfettamente coscienti del proprio ruolo e dell'impossibilità di uscirne. Ma la più celebre creatura lupoide di Chuck Jones è Wile E. Coyote, protagonista insieme a Road Runner-Beep Beep di una serie fortunata e dagli aspetti esistenzialistico-metafisici Le imprese dei due protagonisti si ripetono incessantemente senza modifiche apparenti: nello scenario minimalista del deserto il Coyote cerca con ogni mezzo di catturare il Road Runner Per compensare la sua scarsa velocità il Coyote, che si crede un genio, ricorre alle terrificanti invenzioni di una ditta misteriosa, la Acme, che regolarmente lo rifornisce in questa guerra. Dalle casse dall'aspetto invitante, le sole capaci di scuotere il Coyote da una distaccata rassegnazione e di regalargli attimi di partecipe coinvolgimento, escono marchingegni raffinati quanto inutili (tecnologia avanzata che non mantiene quanto promette), che sempre si ritorcono contro il loro manovratore. I bellissimi sfondi del deserto californiano contribuiscono a fornire un senso di astrazione e solitudine e offrono un'adeguata cornice al susseguirsi di avventure costruite ricorrendo consapevolmente ad un elevatissimo numero di costanti. Oltre alle regole della comicità, Jones gioca qui con la serialità, ripetendo all'infinito la stessa struttura di base e limitando le variazioni al minimo indispensabile per rendere la ripetitività stimolante. In questo ambiente rarefatto e minimale anche i personaggi sono altamente stilizzati e si muovono in un contesto fortemente connotato da evidenti tratti epigonali e parodistici. In effetti Jones e il suo sceneggiatore Michael Maltese volevano proprio fare una parodia delle cacce dei cartoon classici. I personaggi si muovono sulle tracce dei loro predecessori riassumendo e ripetendo ancora una volta, in termini minimali e molto stilizzati, i temi ormai ben codificati della saga del lupo nei cartoni. Tutto è già stato fatto. tutto è già stato detto, e soprattutto gli stessi protagonisti ne sono ben consapevoli. In un episodio il Coyote si rivolge direttamente ai suoi animatori e con un cartello chiede «e se finissimo il cartoon prima che io finisca nel burrone?».

Non c'è più traccia dell'aggressività sanguigna e primordiale del Big Bad Wolf dei primi cartoni, un lupo cattivo e sbavante di bramosia, nero con i pantaloni rossi, strappati e malamente legati, che a stento gli coprono le gambe pelose e nerborute. Non è più un lupo grande e cattivo, ma un coyote – un piccolo lupo – dai tratti raffinati e ingentiliti. La stessa perdita di pathos coinvolge anche la “preda”: Beep Beep non mostra la minima apprensione, anzi sembra non accorgersi neppure delle insidie che gli vengono portate. Ma questi personaggi nulla hanno perso della loro vitalità, solo un po' sfumata dall'ironia e dell'autoironia, e della loro carica di simpatia (umana).

Una intatta carica di vitalità, di sensualità sfrenata ed esuberante è invece ancora presente in tutti i lupi di Tex Avery, che nel corso di molteplici apparizioni raggiungono una loro compiuta identità nel personaggio di Wolf (o Woolfy).

«Wolf: il grande cattivo dei cartoon di Avery, è anche l'eterno perdente, il maschio che impazzisce per la ballerina Red, cioè per Cappuccetto Rosso, senza riuscire mai a possederla. Nella sua versione più evoluta, che è quella della MGM, Wolf cerca di nascondere finché può il suo carattere, ma non ce la farà mai. Anche sotto i vestiti borghesi è nascosto il lupo che è in noi, pronto a strabuzzare gli occhi, a far penzolare mezzo metro di lingua, a battere la testa contro un palo. [...] Appena Avery passa alla MGM si porta dietro il lupo. È lui Adolf Wolf il protagonista dell'incredibile Blitz Wolf, dove è un generale nazista alle prese con il sergente americano Pork e i suoi tre fratellini porcellini. Il disegno e la sua animazione [...] sono straordinari, e il film ebbe una giusta nomination agli Oscar. [...] Wolf è sempre sopra le righe, esprime ogni sentimento in modo eccessivo, non arretra di fronte a niente, è 'bigger than life'. Infaticabile è sempre in corsa dietro a una donna o in fuga da Droopy. Può percorrere tutto il mondo nei sette minuti del cartoon. [...] Grandissime le sue apparizioni con la ballerina Red (Red Hot Riding Hood, Little Rural Riding Hood) oltre alle volte che incontra Droopy (Wild and Woolfy). [...] Infiniti i guai che ebbe con la censura interna della MGM e con quella del codice Hays, per cui certe scene scatenate vennero tagliate per le sale e mostrate solo ai militari, che andavano pazzi per i suoi cartoon erotici». (Marco Giusti, Fabrizio Liberti e Bruno Fornara, “Bestiario”, in What's up, Tex? II cinema di Tex Avery, a cura di Michele Fadda e Fabrizio Liberti, Lindau, Torino 1997, p. 227)

Al lupo al lupo.

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